“Voi sarete chiamati Sacerdoti del Signore”

L’appassionata esortazione di Mons. Cibotti al clero diocesano in occasione del giovedì santo

“VOI SARETE CHIAMATI SACERDOTI DEL SIGNORE”

L’appassionata esortazione di Mons. Cibotti al clero diocesano in occasione del giovedì santo

di Don Francesco Bovino

“È un dono essere chiamati ed è un compito fare in modo che la nostra vita testimoni l’appartenenza al Signore in questa porzione di popolo e di chiesa che ci è affidata”. E’ iniziata con queste parole la forte riflessione che Mons. Camillo Cibotti ha voluto condividere con il suo clero diocesano in occasione della Messa Crismale celebrata lo scorso Giovedì Santo. Un’omelia interamente dedicata ai sacerdoti nel giorno stesso della istituzione del Sacerdozio ministeriale. Il vescovo si è rivolto ai suoi presbiteri con toni paterni e confidenziali con l’intento di fornire loro alcuni punti di riflessione. Per farlo ha utilizzato la metafora dei cinque sensi che possiede l’essere umano. “I sensi umani – ha spiegato – non sono né negati né disprezzati, ma sono chiamati a diventare nel sacerdote sensi spirituali. Vorrei riflettere sui sensi spirituali, come esperienza che il credente fa attraverso la fede cristiana”. Facendo riferimento alla Parola di Dio ascoltata durante la messa, il vescovo ha individuato alcuni tratti specifici per ciascuno dei cinque sensi umani. A partire dal tatto che ricorda la sensazione provata nel ricevere il sacro crisma sulle mani nel giorno dell’ordinazione sacerdotale. “Mi piace pensare – ha affermato Mons. Cibotti – che lo stesso timore e tremore dovremmo provarlo anche nel toccare gli altri e nell’esserne toccati: nell’essere vicini, anche fisicamente, alle persone a noi affidate dobbiamo usare ogni premura e attenzione”. Di quell’olio santo, poi, rimane all’ordinato il ricordo del profumo che attraverso l’olfatto è giunto al nostro essere. “Per grazia, lo stesso profumo può pervadere le nostre opere: quando le facciamo per amore a Dio e con timore di Dio”. Il senso della vista, poi, lascia emergere il ricordo del “primo sguardo”, quello in cui ci siamo sentiti ‘fissati ed amati’, come ci ricorda la chiamata del giovane nel vangelo di Marco (Mc 10,21). “Anche quando la vita ci riserverà dei problemi o dei momenti di sfiducia e di incertezza. Proprio allora dobbiamo avere il coraggio di alzare gli occhi e ritrovare quello sguardo”.

L’altro senso umano usato nel rapporto con Dio è certamente l’udito. Della vita quotidiana del sacerdote fa parte, infatti, l’ascolto della Parola soprattutto nella meditazione personale e nella liturgia. “Non stanchiamoci, però, di ascoltare la voce di Dio, – ha esortato Mons. Camillo – anche quando essa si serve di canali diversi da quelli a cui siamo abituati”.

“Ma il senso che più ci avvicina all’esperienza che qui ed ora stiamo condividendo – ha detto – è di gran lunga il gusto”. Il sacerdote è chiamato a “gustare le cose di Dio alla mensa eucaristica che ci fa pregustare ‘quello che poi potremo mangiare e bere con piena soddisfazione’ (S. Agostino, Discorso 21, 2)”. Per approfondire questo punto, il vescovo si è, quindi, soffermato a commentare la celebre pagina del vangelo che riporta l’episodio dei discepoli di Emmaus. In particolare l’espressione di uno dei due discepoli, Cleopa, che, non avendo riconosciuto Gesù fattosi suo compagno di cammino lo rimprovera dicendo: “Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?”. “Anche noi, come lui, possiamo sentire Gesù estraneo, straniero, lontano dai nostri problemi, dalle difficoltà, dalle tribolazioni, dalle croci! Come i discepoli di Emmaus, anche noi possiamo rimanere rattristati e delusi”. E’ vero, infatti che qualche volta anche il sacerdote può perdere il gusto delle cose di Dio che un giorno aveva scoperto nell’incontrare Gesù e nel decidere di seguirlo. “I sacerdoti – ha osservato Mons. Cibotti – hanno bisogno di riscoprire quel profumo che avevano sempre sentito da vicino. Di lasciarsi condurre in quell’esperienza di toccare ed essere toccati che passa attraverso quel corpo forestiero che si fa intimo”. Solo così potranno essere credibili annunciatori della vita nuova in Cristo. “Con la Resurrezione, – ha concluso – Gesù è più che mai colui che prende dimora nella carne e nei corpi di noi umani: noi oggi siamo il suo corpo sulla terra, nella storia; noi siamo la sua carne e incontriamo la sua carne nelle sorelle e nei fratelli bisognosi, sofferenti, vittime, ultimi, non riconosciuti, scarti per molti. Siccome c’è il Vivente nel nostro corpo, possiamo dire all’altro che amiamo: “Questo mio corpo è il tuo corpo!”. E così si vive la danza, la festa pasquale!”.