IL CORAGGIO DEI MISSIONARI MARTIRI
Celebrata ad Isernia la 27a Giornata di preghiera e digiuno in memoria dei testimoni della fede
Don Francesco Bovino
“In questo periodo di persecuzione per i cristiani è importante ricordare a tutti che nella preghiera possiamo sentirci tutti in grado di superare questo momento e di dare forza a chi, in ogni circostanza della vita, è chiamato a dare testimonianza della propria fede”. Queste le parole pronunciate sabato scorso da Mons. Camillo Cibotti nella Cattedrale di Isernia nel corso della Veglia di Preghiera in memoria dei Missionari Martiri. La Giornata, nata nel 1993 per iniziativa dell’allora Movimento Giovanile Missionario, si configura come uno speciale evento di preghiera per ricordare tutti i testimoni del Vangelo uccisi in varie parti del mondo. Nel 2018 c’è stato purtroppo un aumento di persone uccise in odium fidei: sono quaranta (circa il doppio rispetto allo scorso anno) gli operatori pastorali che hanno perso la vita per amore di Dio, come riporta l’annuale rapporto dell’Agenzia Fides della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli.
La data scelta per questa giornata è quella del 24 marzo anniversario della morte di Mons. Oscar Romero, proclamato santo lo scorso 14 ottobre. Proprio da uno dei suoi slogan è stato tratto il tema di quest’anno “Per amore del mio popolo non tacerò”, ispirato alla testimonianza del “santo de America”, e vuole esprimere la piena consapevolezza che amare Dio significa amare i propri fratelli, significa difenderne i diritti, assumerne le paure e le difficoltà. Egli, infatti, diede la propria vita per la causa dei poveri, proponendo un modo diverso, per certi versi “rivoluzionario”, di vivere il messaggio evangelico nella realtà concreta latinoamericana. Il suo “torto” fu quello di stare dichiaratamente dalla parte dei suoi amati campesinos che amava come veri fratelli.
Una volta fu chiesto a Mons. Romero di spiegare cosa significa “opzione per i poveri”. Lui rispose: “Ti offro questo esempio. Un edificio è in fiamme e lo stai guardando bruciare, in piedi e chiedendoti se tutti sono al sicuro. Poi qualcuno ti dice che tua madre e tua sorella sono dentro quell’edificio. Il tuo atteggiamento cambia completamente. Sei frenetico: tua madre e tua sorella stanno bruciando e tu faresti qualsiasi cosa per salvarli anche a costo di diventare carbonizzato. Questo è ciò che significa essere veramente impegnati. Se guardiamo alla povertà dall’esterno, come se guardassimo a un incendio, non è quello di optare per i poveri, non importa quanto possiamo essere preoccupati. Dovremmo entrare come se nostra madre e nostra sorella stessero bruciando. In effetti è Cristo che è lì, affamato e sofferente”.
Per amore del mio popolo non tacerò significa, dunque, agire coerentemente alla propria fede. In quanto cristiani, discepoli missionari, portatori della Buona Notizia di Gesù non possiamo tacere difronte al male. Farlo significherebbe tradire il mandato che ci è stato affidato.
Il momento culminante della veglia di preghiera di sabato scorso è stato il ricordo personale dei Missionari Martiri che hanno perso la loro vita nel corso del 2018, i cui nomi, pronunciati uno alla volta, sono stati “inchiodati” sulla croce di Cristo a significare la loro condivisione alle sofferenze del Salvatore fino all’effusione del sangue. “Pregare per i missionari martiri – ha sottolineato mons. Cibotti – è un modo per comprendere come si può ancora oggi essere testimoni autentici. Tutti i momenti della celebrazione sono un richiamo ad un impegno nella testimonianza cristiana a cui tutti noi, nel nostro vivere quotidiano, siamo chiamati”.