Fraternità presbiterale come via alla santità

incontro di Formazione Permanente del clero isernino

FRATERNITÀ PRESBITERALE COME VIA ALLA SANTITÀ

Incontro di formazione con don Lello Ponticelli, psicologo e psicoterapeuta della Facoltà Teologica di Napoli

don Francesco Bovino

Si è parlato di fraternità sacerdotale nell’ultimo incontro di Formazione Permanente del clero isernino tenutosi martedì 12 marzo nel salone della parrocchia di “S. Giuseppe Lavoratore” ad Isernia. Alla presenza del vescovo Cibotti e di tutti i sacerdoti e religiosi, è tornato a parlare in diocesi don Lello Ponticelli, docente di psicologia nella Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale di Napoli, psicologo e psicoterapeuta. Il tema scelto dal relatore è stato: “Prendersi a cuore…, prendersi cura! La fraternità presbiterale come matrice di identità e di santità”. Un vero e proprio focus sul significato e l’importanza delle relazioni tra di noi presbiteri, con i nostri Vescovi e con le persone a noi affidate per avanzare nella spiritualità di comunione. E per presentare un tema così stimolante Don Lello ha voluto iniziare il suo vivace intervento con un gesto simbolico. Ha invitato tutti i sacerdoti presenti a formare dei gruppetti con le sedie in cerchio e ad intavolare una cordiale conversazione per accrescere la conoscenza reciproca. Un segno con cui accentuare la necessità che tra i presbiteri si crei sempre più un clima di amicizia e di amore fraterno. “Questa necessità – ha spiegato il relatore – si fonda su dei principi di ordine teologico-sacramentale”. Partendo dall’espressione usata nel libro della Genesi “non è bene che l’uomo sia solo”,  don Lello ha sottolineato come queste parole non siano riferite esclusivamente alla vita coniugale ma “richiamino un aspetto fondamentale della nostra visione antropologica cristiana che vale per tutti: nessun uomo è un’isola, neanche il prete! Nessuno è chiamato a vivere nell’isolamento, sentendosi senza casa, senza legami significativi”. “La condizione dell’isolamento – ha affermato – è una condizione deleteria per chiunque. Questo è vero sia sul piano antropologico come su quello psicologico, ma non meno sul piano teologico, spirituale e pastorale quando si parla di noi sacerdoti, della nostra identità e della nostra missione”. Citando, poi, San Giovanni Paolo II nella sua enciclica “Pastores dabo vobis”  ha affermato come “la fisionomia del presbiterio è quella di una vera famiglia, di una fraternità, i cui legami non sono dalla carne e dal sangue, ma sono dalla grazia dell’Ordine: una grazia che assume ed eleva i rapporti umani, psicologici, affettivi, amicali e spirituali tra i sacerdoti” (PDV n. 74). In altre parole, “se guardiamo a quanto accade nello stesso rito di ordinazione,  ciascuno di noi viene in qualche modo ‘cooptato’ in un corpo presbiterale, in una nuova famiglia che è quella degli amici di Gesù. Ciò che avviene con i segni e i riti della liturgia, non può restare solamente un fatto ontologico o emotivo, ma ci chiama ad essere assunto come percorso umano e spirituale che durano quanto dura la nostra vita”. Ovviamente, nel realizzare questo percorso non mancano gli ostacoli dettati soprattutto dalle differenze caratteriali che portano spesso a conflittualità all’interno dello stesso presbiterio e all’isolamento o alla formazione di gruppi separati e chiusi all’esterno. Il metodo preventivo più efficace – ha assicurato don Ponticelli – è senza dubbio un’amorevole correzione fraterna, la quale impedisce il consolidarsi delle incomprensioni che generano poi diffidenza, che spesso sfocia nella divisione”. Ha, poi, concluso che “amarsi tra preti come fratelli è possibile! Sì, avete capito proprio bene…Perché di questo si tratta: attraverso la nostra vita, attraverso la riscoperta della fraternità tipica, unica, diversa che possiamo vivere tra noi preti, noi portiamo la buona notizia a tutti che è possibile vivere come fratelli”.