La sensibilità pastorale del sacerdote

Conferenza di Padre Amedeo Cencini al clero della diocesi di Isernia-Venafro

Dall’identità alla sensibilità presbiterale. Dalla sensibilità al discernimento pastorale”. E’ stato questo il tema dell’incontro di Formazione Permanente del clero isernino che si è tenuto mercoledì 13 febbraio nel salone della parrocchia di “S. Giuseppe Lavoratore” ad Isernia. A presentare un tema così importante è stato invitato nella nostra diocesi una delle figure più eminenti del panorama teologico nazionale e internazionale, P. Amedeo Cencini, canossianodocente della facoltà di Scienze dell’Educazione all’Università Pontificia Salesiana, grande esperto di problematiche psicologiche della vita religiosa e sacerdotale, particolarmente noto per le sue numerosi pubblicazioni di psicologia della religione. Alla presenza di S.E. Mons. Camillo Cibotti e di tutti i sacerdoti e i religiosi della diocesi, l’insigne studioso è tornato sulla principale idea che il sacerdote canossiano sta cercando di diffondere nel clero mondiale, ossia quella della “formazione permanente”: “In alcuni settori ecclesiali resiste il convincimento che la formazione di un prete termini con l’ultimo esame di teologia e l’ordinazione sacerdotale – ha spiegato Cencini -. Io, invece, penso che tutte le persone di Chiesa debbano riscoprire ogni giorno le motivazioni profonde della loro la vocazione”.

Al clero di Isernia ha voluto dedicare una meditazione su una delle più importanti caratteristiche che devono contraddistinguere l’apostolato del presbitero, ossia la sua sensibilità pastorale. Per cominciare, P. Cencini ha voluto sgombrare il campo da ogni equivoco riguardo a cosa intendere con la parola sensibilità”. Non si tratta esclusivamente, come dice il dizionario italiano, di una particolare “attitudine a risentire gli effetti anche più insignificanti di una condizione affettiva o emotiva”, tanto meno solo l’”attitudine a ricevere impressioni attraverso i sensi”. Per capire la sensibilità a cui è chiamato il sacerdote occorre rifarsi ad un celebre brano di San Paolo ai Filippesidove dice:Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù” (Fil 2,5). Nella parola “sentimenti” sono racchiuse tutte le componenti della sensibilità dello stesso Gesù: i sensi (esterni e interni), le sensazioni, le emozioni, i sentimenti, i desideri, gli affetti, i gusti, le attrazioni, le tentazioni, le intuizioni, i criteri decisionali, i sogni, gli affetti… “In una sola parola – ha affermato P. Amedeo – il sacerdote deve entrare nel mondo interiore di Cristo e farlo proprio”. Tutto questo deve essere vissuto dal prete alla luce della sua identità. “Essere prete, infatti, significa conformarsi a Cristo e vivere con coerenza la propria scelta vocazionale, formando con umiltà la propria coscienza ad immagine di quella di Gesù”. Da una coscienza ben formata derivano, poi, tutte le proprie scelte, sia quelle importanti che quelle apparentemente insignificanti. “Quest’ultime non sono mai innocue, ma costruiscono la propria identità e fanno del prete ciò che è”. Dopo questo chiarimento, P. Cencini è passato a definire i vari tipi di sensibilità che devono costituire l’identitàsacerdotale. Anzitutto la sensibilità pastorale, quell’attenzione speciale non solo verso i credenti ma soprattutto verso i lontani, quella che P. Amedeo ha definito come “la parrocchia dei non credenti”. C’è, poi, la sensibilità relazionale, la disponibiliad essere accanto a chi ha bisogno di una parola o di un conforto. Da quest’ultima scaturisce la sensibilità empatica, la particolare capacità di vedere la vita dei fratelli dal loro punto di vista. “Non preti moralisti ma veri compagni di viaggio”. Quest’atteggiamento empatico sviluppa la sensibilità attenta al dolore. In essa il sacerdote è disposto a “raccogliere le lacrime dei fratelli, soprattutto i peccatori. Una sensibilità compassiva.Prete dal cuore compassionevole – ha concluso P. Cenciniè soprattutto chi è capace di ascolto, d’un ascolto il più possibile empatico, che non si ferma all’accusa del penitente, ma che cerca, per quanto possibile, di capire ciò che c’è dietro, specie se si percepisce una certa sofferenza. Dobbiamo abituarci, dice Bonhoeffer, a valutare le persone più per quel che soffrono, che non per quel che fanno”.

 

don Francesco Bovino