Insegnare Religione al tempo del covid-19

Lettera del direttore dell’Ufficio Scuola Diocesano ai docenti di religione

Lettera del direttore dell’Ufficio Scuola Diocesano ai docenti di religione

Carissimi docenti,

quando è iniziato questo periodo di emergenza sanitaria nessuno di noi sapeva bene come sarebbe andata la faccenda. Siamo stati tutti colti di sorpresa perché impreparati a quanto la gravità della situazione ci avrebbe richiesto. Col passare del tempo e con la presa di coscienza di quanto nuovo si stava presentando il contesto sociale abbiamo poco alla volta sentito tutti l’urgenza e allo stesso tempo la fatica di rimettere in discussione il nostro insegnamento e ritrovare animo, metodo e criteri per assolvere al nostro già difficile compito di educatori e di testimoni della fede.

Essere insegnante di religione, infatti, non è facile. Non lo era prima della pandemia e non lo è soprattutto in questa grave circostanza. Lo sanno bene le centinaia di docenti in Italia che sperimentano le contraddizioni di una professione, al tempo stesso, motivante e frustrante per la sua complessa natura e che fanno di tutto per mantenere viva nei loro alunni l’esigenza di parlare di Dio, anche in tempo di COVID-19.

Lo sappiamo tutti, i documenti ufficiali ci ricordano che le finalità e i contenuti della nostra materia collocano l’IRC tra le discipline più “importanti e necessarie”. Eppure ci rendiamo conto ogni giorno di come sia accidentato il nostro percorso quotidiano e complesso il nostro ruolo all’interno dell’istituzione scolastica. Il nostro insegnamento, difatti, invita ad esplorare le grandi domande di senso, e proprio per il fatto che nell’ora di religione si parla di sé stessi, si affrontano tematiche come la vita, la morte, la sofferenza, il bisogno di salvezza, la propria identità, richiede l’istaurarsi di relazioni di apertura e fiducia tra il docente e l’alunno e nel gruppo classe.

Ma non solo con i ragazzi.

Anche il rapporto con i colleghi, pur essendo spesso fonte di gratificazione (molti di noi IdR, in realtà si sentono apprezzati e benvoluti) tuttavia genera molte volte frustrazione ed imbarazzo. Chi di noi non è stato oggetto di critiche e di facili battute del tipo: “Tanto tu insegni solo religione!” o addirittura giudizi più svalutanti: “A che cosa serve questa materia?” “Beati voi che non soffrite di precariato!” ecc.

In un sistema in cui tutte le discipline sono obbligatorie, l’essere titolari dell’unica materia opzionale pone problemi non facili da risolvere a livello psicologico, motivazionale e anche didattico. Soprattutto in questa situazione anomala in cui anche noi IdR siamo tenuti ad utilizzare nuove forme di insegnamento e di comunicazione, come la didattica a distanza. Questo, molto spesso, induce tutti noi a compromessi nella scelta delle tematiche da trattare e richiede all’IdR uno sforzo di gran lunga superiore che agli altri docenti per stimolare la motivazione primaria degli studenti che in questo periodo sono quanto mai rilassati e demotivati.

 

Eppure, in questo contesto così difficile, sono qui a scrivervi di continuare rendere unico il nostro insegnamento. Anche oggi. Anche in tempo di pandemia. Nonostante la straordinaria criticità di questo momento non ho paura dì chiedervi uno sforzo straordinario nel testimoniare la nostra fede con la coerenza del nostro ruolo scolastico nei confronti degli alunni e dei colleghi.

Proprio in questo momento difficile loro guardano a noi come interpreti della presenza di Dio.

Di fronte a questa situazione così grave ed incerta noi IdR, infatti, potremmo essere tentati di gettare la spugna o di arrenderci. E ne avremmo tutto il diritto!

 

Carissimi docenti, sono qui a rinnovare il mio incoraggiamento ed il mio riconosci­mento dell’impegno profuso in questo tempo e dell’importanza del nostro opera­re con le nuove generazioni che hanno ancora più di prima il bisogno di punti di riferimento che siano veri e saldi.

Anzi, oso ancora di più!

Invito tutti noi ad un maggior coinvolgi­mento in questo spicchio di fine anno scolastico per rinsaldare e consolidare il nostro legame con gli studenti e far capire loro che anche senza stare sui banchi di scuola sono troppo importanti per tutti noi.

Vorrei concludere citando la filosofa ebrea tedesca Hanna Arendt che con la sua abituale incisività delinea il nostro rapporto con i giovani. “L’educazione è il momento che decide se noi amiamo abbastanza il mondo da assumercene la responsabilità e salvarlo così dalla rovina, che è inevitabile senza il rinnovamento, senza l’arrivo dei giovani. Nell’educazione si decide anche se noi amiamo tanto i nostri figli da non estrometterli dal nostro mondo lasciandoli in balia di sé stessi, se li amiamo tanto da non strappargli di mano la loro occasione d’intraprendere qualcosa di nuovo, qualcosa d’imprevedibile per noi: e prepararli invece al compito di rinnovare un mondo che sarà comune a tutti”.

Mettiamoci al loro fianco per guidarli in un nuovo mondo che sia migliore e più umano.

Don Francesco Bovino

Direttore dell’Ufficio Scolastico Diocesano